L’[[autismo]] fa la sua prima comparsa nelle prime edizioni del dsm (dsm-i, 1952, e dsm-ii, 1968) come forma di schizofrenia infantile, caratterizzata da un’introversione atipica e una generale irregolarità nello sviluppo, che poteva comportare “ritardo mentale”. [^1]
Costituisce diagnosi a sé dal dsm-iii (1980), e da lì vede un allargamento progressivo dei suoi criteri diagnostici, basati sulla “triade dell’autismo”: 1) deficit nella socialità, 2) deficit comunicativi (linguistici e non), e 3) repertorio ristretto e ripetitivo di interessi e comportamenti. [^1]
Solo nel 1994 col dsm-iv (e solo qui e nella sua revisione) compare tra i “disturbi pervasivi dello sviluppo” la famosa [[Sindrome di Asperger]], caratterizzata dalla stessa triade, ma senza ritardi nello sviluppo del linguaggio e senza possibile disabilità intellettiva. Compaiono qui anche altri disturbi, che saranno tutti inglobati, col dsm-5 (2013), nell’attuale “spettro autistico”, sotto la categoria dei nuovi “[[disturbi del neurosviluppo]]”.
Oggi, secondo il [[Modello medico della disabilità]], lo [[spettro autistico]] comporta atipicità e deficit in due macroaree: nella comunicazione e nella socialità (criterio a) e nei comportamenti, attività e interessi ristretti e ripetitivi (b, che include anche una sensorialità atipica). I sintomi devono essere presenti in infanzia (c) e devono avere un impatto significativo in ambito sociale, scolastico o lavorativo (d). Può esserci o meno disabilità intellettiva e disturbo del linguaggio, e il livello di supporto richiesto può variare da 1 (richiede un supporto) a 3 (richiede un supporto molto sostanziale). [^1]
[^1]: Eleonora Marocchini, Neurodivergente, 2024