Tale teoria, inizialmente è stata ideata da Amartya Sen, Premio Nobel per l’Economia nella metà degli anni Ottanta, al fine di rinnovare i modelli economici e politico-sociali, successivamente approfondita ed ampliata dalla filosofa Martha Nussbaum. L’approccio misura la qualità della vita discostandosi dalla tradizionale concezione del benessere associato al possesso di beni materiali di varia natura, concentrandosi invece sulla pluralità dei contesti sociali, economici, istituzionali e culturali, elementi tutti che contribuiscono al miglioramento dell’esistenza. I fattori innovativi emergono nella nozione definita da Sen come well-being ovvero “star bene”, indicando ciò che l’individuo può fare o può essere, e nel concetto di sviluppo, non come mera crescita economica, ma come valorizzazione del progresso umano e del miglioramento del tenore di vita, legati alle dimensioni della libertà, delle possibilità di scegliere e agire. Le persone differiscono tra loro per una varietà di elementi fisici, psicologici, economici, ambientali, politici, familiari etc., che determinano l’opportunità e la capacità di convertire i beni e le risorse in risultati e realizzazioni concrete ([[Funzionamento|Funzionamenti]]). Centrale è l’azione delle politiche sociali nel ridurre le barriere che limitano il compimento delle scelte. Amartya Sen considera la povertà e la deprivazione come elementi generati dalla impossibilità di conseguire un soddisfacente livello di vita: il suddetto modello, declinato alla [[disabilità]], pone pertanto al centro dell’interesse sociale la dignità della persona. L’idea che sottende il paradigma è “che gli assetti sociali dovrebbero tendere ad espandere le **capabilities** (capacità) delle persone, legate alle varie combinazioni di funzionamenti che si possono conseguire, ossia la libertà di promuovere o raggiungere i beings, doings e becomings a cui essi stessi danno valore, sia a livello individuale che per la società nel suo complesso”. In tal senso la diversità si pone come un aspetto dilatato dello sviluppo umano, enfatizzando il nesso tra la persona e la comunità di riferimento, riconoscendo alla società la responsabilità di promuovere le possibilità di essere e di fare. Emerge così il concetto di [[empowerment]] connesso all’utilizzo delle risorse a livello del singolo od organizzativo, suscitando l’accrescimento individuale attraverso l’espansione del sé e collettivo, promosso dall’ambiente e dagli input che questo offre. In particolare esso è legato all’idea di cambiamento, generata dall'applicazione delle qualità cognitive e psicologiche degli attori coinvolti. È quindi possibile definire l’empowerment come uno strumento che permette agli individui di effettuare delle libere scelte, per raggiungere scopi e finalità, più o meno conformi al concetto di ben-essere[^1] ## Approfondimenti - Sen A. (2000), Lo sviluppo è libertà. Perché non c’è crescita senza democrazia, Mondadori, Milano. - Biggeri M., Bellanca N. (2011), L’approccio delle capability applicato alla disabilità: dalla teoria dello Sviluppo Umano alla pratica, Università di Firenze, Firenze. - Alessandrini G. (2014), La pedagogia di Martha Nussbaum: approccio alle capacità e sfide educative, Franco Angeli ed., Milano, pp.20 e ss [^1]: Flavia Schivo, [[Manuale di progettazione per l’accessibilità e la fruizione ampliata del patrimonio culturale. Dai funzionamenti della persona ai funzionamenti dei luoghi della cultura]]